Geoparks Italiani - GEOSINIS

Dott. Geol. Domenico MARINO
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Geoparks Italiani

Geoturismo e Geoparchi > Geoparks
L'Italia con 10 Geoparchi è il Paese europeo con il maggior numero e nel mondo secondo soltanto alla Cina.
Noi abbiamo sostenuto la candidatura del Parco Nazionale del Pollino a Geoparco attraverso la diffusione e la conoscenza delle sue risorse geonaturalistiche ed invitiamo le P.A. regionali, le Università, gli operatori turistici ed i cittadini a crederci perchè di vitale importanza per lo sviluppo economico del nostro territorio.
L’Italia è ben rappresentata nel panorama internazionale con dieci Geoparchi riconosciuti nella Rete Europea e nella Rete Globale sotto l’egida dell’UNESCO.
Il ruolo che i Geoparchi italiani svolgono attualmente all’interno delle reti EGN e GGN è particolarmente significativo ai fini dello sviluppo del Geoturismo in Italia, non solo per il numero decisamente importante di territori coinvolti, ma anche e soprattutto per la qualità che gli stessi territori rappresentano a livello nazionale ed internazionale.
Un riconoscimento prestigioso che i dieci Geoparchi hanno conseguito costruendo sui propri territori strategie gestionali innovative, in cui la geoconservazione, unitamente alle conseguenti attività didattiche, divulgative e fruitive, sono in grado di attivare un percorso virtuoso per lo sviluppo sostenibile, un processo di riqualificazione e valorizzazione territoriale attento al rispetto delle culture locali, ma sinergicamente proiettato verso un nuovo modello di uso del territorio medesimo (fonte ISPRA).


GEOPARCO DELLE MADONIE
il Parco delle Madonie nel 2001 è entrato a far parte dell’European Geoparks Network.
Se certamente le Madonie rappresentano un’area di eccezionale interesse botanico e zoologico, esse costituiscono una zona di enorme importanza anche dal punto di vista geologico. Anzi si può affermare che nell’area del Parco e nelle sue immediate adiacenze siano presenti tutti gli aspetti della geologia della Sicilia, eccezion fatta per il vulcanesimo attivo. Sono quindi un’area estremamente significativa per lo studio della geologia della Sicilia che ha rappresentato, e continua a rappresentare, una “palestra” didattica per generazioni di studenti universitari di scienze geologiche e di scienze naturali.
Gli aspetti geologici del territorio non sono di estremo interesse solamente per gli studiosi e gli appassionati di geologia ma possono stimolare la curiosità e la fantasia anche di visitatori non particolarmente esperti nelle scienze della terra, che tuttavia non restano insensibili di fronte alla bellezza dei paesaggi che si susseguono dalle pendici dei monti fino alle aree sommitali, sempre differenti e affascinanti, alle strane forme dei fossili
contenuti nelle rocce madonite, che evocano mondi sconosciuti e scomparsi, alla dolce frescura che emanano le acque sgorganti dalle numerose sorgenti disseminate nel massiccio, al mistero delle tante grotte che sono altrettante porte di accesso ai mondi sotterranei ignoti.
L'elevato valore ambientale del Geoparco, peraltro, è stato riconosciuto anche da specifici atti assunti dall'Amministrazione Regionale che ha individuato all'interno dell'area protetta dieci Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) ed una Zona di Protezione Speciale (Z.P.S.) che comprende tutto il territorio del Parco delle Madonie, in adempimento a specifiche direttive comunitarie ("Direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici" e "Direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat"). Tutti i S.I.C. e la Z.P.S. risultano compresi nel Piano di Gestione “Rete Natura 2000 Sicilia” approvato.
Madonie Geopark
GEOPARCO ROCCA DI CERERE
Il Parco Rocca di Cerere nel 2001 è entrato a farparte dell’European Geoparks Network.
Notevolissima e complessa è la proposta di itinerari di visita dedicati non solo all’aspetto pèiù prettamente geologico del territorio ma anche ai patrimoni naturalistico ed archeologico culturale.
Nel territorio del Geopark, insiste un complesso substrato storico e culturale che parte dagli albori dell’umanità, con i ripari dei nomadi paleolitici lungo il Gornalunga e che, come nel resto dell’isola, segue il corso delle influenze operate su queste terre da decine di popoli invasori, popoli in migrazione, imperi interessati ai prodotti della terra o alla sua strategica posizione nel Mediterraneo. Certamente il leit motiv dell’area ennese, sin dal neolitico, è quello della produzione agrosilvopastorale. Dai resti pre e protostorici risalta chiaramente la vocazione pastorale dei popoli che costruirono le tombe di Malpasso o che, più tardi realizzarono i villaggi che ancora oggi punteggiano con i loro resti le colline dell’intera area Erea.
Latte, formaggi, carne e pelli, lane che insieme al lino diedero inizio all’industria tessile, ma anche una agricoltura da subito legata al grano. Queste sono le terre del Triticum durum, il grano duro che è divenuto la base per il pane e per la pasta “vera”. Il mito principale di queste terre è legato alla Dea delle messi ed al suo corteggio di divinità ktonie a noi pervenute con i nomi e le caratterizzazioni del mondo ellenistico e romano. Demetra- Cerere, Kore-Proserpina o Ades-Plutone, vennero venerati per secoli con riti e misteri direttamente collegati con la terra e con la fertilità agricola. Quando il cristianesimo avanzò sulle credenze pagane, dovette dotarsi di una capacità sincretica che, soprattutto nei centri più grandi, riuscì a sostituire le vecchie divinità con santi patroni che, non di rado, mantenevano intatte le caratterizzazioni popolari dei predecessori. E’ il caso della Madonna di Valverde, ad Enna che per volere di San Pancrazio, divenne la patrona della città sino ad allora sacra a Cerere. Bruciato il simulacro della antica dea, la nuova chiesa vide i fedeli rivolgersi ad una Maria impegnata a garantire i raccolti. Più in là la Madonna della Visitazione, nuova patrona dell’intera città dal 1474 e non più solo della area di Valverde, della antica dea prese la data, coincidente con il periodo del raccolto, il legame con le previsioni per il futuro anno agricolo (secondo come il fercolo raggiunge la chiesa di Monte Salvo, i contadini leggono la copiosità delle future messi) ed anche il popolo eletto a gestirne il rito (il pesante fercolo viene portato a spalla dagli ignudi, gli antichi contadini vestiti di una lunga tunica per spagliare).
Le Unità Geologiche, affioranti nell’area del geopark possono essere indicate come segue, descritte da quelle relative ai domini più esterni a quelle originariamente in posizione più interna.
- Flysch Numidico
- Complesso Sicilide
- Depositi del Tortoniano superiore – Pliocene inferiore
- Depositi del Pliocene medio – Pleistocene inferiore
A Nord dell’area del Geopark affiorano le unità esterne della catena, che costituiscono la propaggine più meridionale dei M. Erei.
L’area centrale del Geopark, al contrario, è prevalentemente interessata da terreni che costituiscono l’avanfossa, al cui interno si distingue il Bacino di Caltanissetta, attivamente subsidente durante il Neogene per compensare il forte sollevamento nel settore assiale di catena.
Il “Bacino di Caltanissetta”, esteso più di 5.000 ha e comprendente le province di Enna, Agrigento e Caltanissetta è il più vasto territorio al mondo in cui affiora una successione di rocce sedimentarie, di origine evaporitica, denominata dai geologi Serie gessoso solfifera.
In questa formazione rocciosa, intercalato o sottostante i Gessi, si trova lo zolfo.
GEOPARCO BEIGUA
Un territorio il cui patrimonio geologico è tutelato dall’UNESCO. Con questo prestigioso riconoscimento si presenta il comprensorio del Beigua, la più vasta area naturale protetta della Liguria.
Era il marzo del 2005 quando il Parco del Beigua venne riconosciuto come “Geoparco” internazionale nell’ambito della Rete Europea dei Geoparchi e della Rete Globale dei Geoparchi dell’UNESCO.
Il Geoparco del Beigua – al cui interno è compresa l'intera superficie classificata come "Parco naturale regionale del Beigua" – si sviluppa per un’estensione complessiva di 39.230 ettari coinvolgendo i Comuni di Arenzano, Campo Ligure, Cogoleto, Genova, Masone, Rossiglione, Sassello, Stella, Tiglieto e Varazze.
Il comprensorio del Geoparco del Beigua presenta un ricco e variegato patrimonio geologico che ben rappresenta le diverse discipline delle Scienze della Terra e che risulta particolarmente significativo per quanto riguarda la ricostruzione della storia geologica dell’Italia e per la comprensione dell’evoluzione della catena alpina.
Nel comprensorio del Geoparco del Beigua sono presenti siti che consentono di apprezzare diverse tipologie di rocce, forme e processi di notevole valore scientifico ma che rivestono anche un particolare interesse estetico, didattico, divulgativo.
L’area è caratterizzata da una grande estensione di ofioliti (rocce verdi) con impronta metamorfica alpina che rappresentano un frammento di un originario bacino oceanico giurassico (originatosi quindi circa 160 milioni di anni fa), raramente affiorante in maniera così diffusa nelle Alpi ed in Europa.
Nel territorio del Geoparco si possono visitare diversi siti di interesse geologico (“geositi”) in cui è possibile andare alla scoperta dell’affascinante storia evolutiva del comprensorio del Beigua, come ad esempio gli spettacolari canyon modellati nella formazione conglomeratica della Valle Gargassa (nel Comune di Rossiglione) o la ricca flora fossile, costituita da piante superiori terrestri sotto forma di tronchi e numerosissime foglie, nell’area paleontologica di Stella Santa Giustina. Altrettanto strabiliante è la barriera corallina fossile presente in località Ponte Prina – La Maddalena (in Comune di Sassello) caratterizzata da vistose colonie coralline impostate direttamente sul substrato ofiolitico o le curiose sferoidi di lherzolite (una roccia intrusiva di colore verde scuro) in località Lago dei Gulli (sempre in Comune di Sassello).
Il viaggio “geologico” ideale prevede un’escursione anche ai meandri della Piana della Badia di Tiglieto, dove sorge la prima abbazia cistercense costruita fuori dai confini di Francia (nell’anno 1120), o un’escursione a scoprire gli affioramenti ofiolitici del Passo del Faiallo, severi custodi dei preziosi “granati”, meravigliosi cristalli di colore rosso caratterizzati da un’estrema limpidezza.
Non può mancare, infine, una visita ai fantastici “fiumi di pietre” (blockstream) nei settori di crinale del Parco - nelle località Torbiera del Laione, Prariondo, Pian Fretto - che testimoniano i processi
geomorfologici avvenuti in ambiente periglaciale ed un’ultima sosta per ammirare i terrazzi marini lungo la fascia costiera tra Varazze, Cogoleto e Arenzano che hanno registrano le oscillazioni del livello del mare alle diverse quote.

Eclogiti


PARCO GEOMINERARIO STORICO E AMBIENTALE DELLA SARDEGNA
In occasione della Conferenza Generale dell’UNESCO, tenutasi a Parigi dal 24 ottobre al 12 novembre 1997, l’UNESCO ha accolto la proposta della Regione Autonoma della Sardegna, predisposta dall’Ente Minerario Sardo e presentata attraverso la Commissione Nazionale Italiana UNESCO e il Governo Italiano che l’hanno previamente esaminata e valutata positivamente, per l’inserimento del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna nella rete mondiale dei Geositi / Geoparchi quale primo esempio emblematico di rilevanza internazionale.
In attuazione della L.388/2000 con il D.M. 16 ottobre 2001 “Istituzione del Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 265 del 14 novembre 2001) viene istituito il Parco.
L’isola della Sardegna rappresenta, per caratteristiche ambientali, un fenomeno peculiare: gli elementi geologici, paleontologici e mineralogici, le rarità biologiche e gli
endemismi, i popolamenti forestali e le zone umide, i paesaggi naturali spettacolari nella morfologia delle coste e dei rilievi interni, le cavità sotterranee e i reperti archeologici ne fanno un piccolo ma intero continente. La vocazione mineraria della Sardegna si manifesta nel grande numero di miniere sparse su tutta la superficie dell’Isola, di diverso valore produttivo, scientifico, culturale, ma tutte indispensabili per comprendere lo straordinario evolversi degli avvenimenti che, in più di 8.000 anni di ininterrotte vicende, hanno segnato la storia dell’utilizzazione del territorio da parte dell’uomo.
In un quadro geologico così eterogeneo come quello della Sardegna, reso ancora più complesso da situazioni tettoniche di varia entità che hanno caratterizzato l’evoluzione della Sardegna dal Paleozoico inferiore ad oggi, si sono sviluppati processi minerogenetici che hanno dato luogo alla concentrazione di metalli e di minerali di interesse industriale in giacimenti di vario tipo, di varia genesi e di varia entità.
Durante la sedimentazione della piattaforma carbonatica cambrica del Sulcis-Iglesiente, si sono formati, dalla base alla superficie, depositi evaporitici di barite stratiforme (Sulcis), depositi massivi di pirite e blenda (Campo Pisano) e depositi strata-bound di galena argentifera e blenda diffusa che hanno dato luogo a giacimenti di notevole rilevanza (Monteponi, S.Giovanni, Masua, ecc.). Nell’Ordoviciano superiore-Devonico si sono formati vari tipi di depositi strata-bound che hanno dato luogo a solfuri misti di rame, zinco, piombo e ferro, contenuti negli “scisti neri” Siluriani (Funtana Raminosa), a mineralizzazioni stratiformi e in frattura ad antimonio e talora wolframio negli “scisti neri”, calcari silurico-devonici, e nelle vulcaniti Ordoviciane (Su Suergiu-Villasalto, Corti Rosas); a mineralizzazioni in frattura a solfuri, con barite, fluorite, calcite e quarzo, minerali d’argento che si ritrovano negli “scisti neri” silurici e negli scisti ordoviciani di una serie di giacimenti sfruttati in passato e noti col nome di “filone argentifero del Sarrabus”; a mineralizzazioni stratiformi a ferro oolitico interstratificate negli scisti siluriani nella regione della Nurra (Canaglia). Gli eventi orogenetici ercinici e le imponenti intrusioni granitiche hanno dato luogo a importanti fenomeni di rimobilizzazione di originari depositi stratiformi o strata-bound. e all’attivazione di circuiti idrotermali con deposizione di mineralizzazioni di varo tipo:
mineralizzazioni a talco-clorite formatesi per metamorfosi di originari orizzonti;
  • mineralizzazioni tipo skarn con magnetite e solfuri originatesi per metamorfismo termico con rimobilizzazione e metasomatismo di originari;
  • depositi strata-bound associati ad orizzonti carbonatici cambrici, ordoviciani e siluricodevonici (San Leone, Giaccuru ecc.);
  • mineralizzazioni pegmatitiche-aplitiche (feldspati sodici di Orani-Sarule);
  • mineralizzazioni tipo greisen formatesi per alterazione idrotermale di rocce granitiche, molibdeno, wolframio e stagno (M.Linas);
  • mineralizzazioni filoniane idrotermali a blenda, galena argentifera e quarzo, a barite e/o fluorite e subordinatamente con minerali di rame, stagno, molibdeno, wolframio, nichel e cobalto. Ad esempio, i depositi filoniani a Pb, Zn, Ag di Montevecchio-Ingurtosu; il giacimento filoniano a fluorite con galena e subordinata barite di Silius.  

Tra il Carbonifero medio ed il Trias, hanno avuto luogo:
  • depositi antracitiferi interstratificati alle successioni detritiche fluvio-lacustri dei bacini intermontani permo-carboniferi della Sardegna centrale (Seui, Perdasdefogu);
  • depositi residuali lateritici e depositi alluvionali a ciottoli di quarzo molto puro con intercalazioni di caolino e/o di argille smettiche localizzati alla base delle successioni carbonatiche marine, “tacchi”, del Mesozoico della Sardegna centrale (Sarcidano) e centroorientale (Ogliastra);
  • mineralizzazioni carsiche a barite, con subordinata galena, blenda e fluorite, nei settori carbonatici peneplanati del Sulcis-Iglesiente (Barega).

La sedimentazione carbonatica instauratasi a partire dal Giurassico viene interrotta nel Cretaceo medio da un’emersione. Durante tale periodo hanno avuto luogo le formazioni di giacimenti di tipo bauxitico della Nurra. Alla fine del Mesozoico, la Sardegna emerge completamente e nel settore sud-occidentale (Sulcis), all’inizio del Cenozoico, si depositano diversi strati di carbone intercalati in una successione calcareo-marnosa. Nell’Oligocene medio l’instaurarsi nel Mediterraneo occidentale di un sistema di rift, di cui il bacino oligo-miocenico sardo rappresenta uno dei rami più occidentali, la rotazione antioraria della microplacca sardo-corsa e l’imponente vulcanismo manifestatosi in connessione con essa, sono eventi che hanno prodotto situazioni minerogenetiche di sicuro rilievo.
Si depositano:
  • mineralizzazioni con solfuri di rame, ferro, molibdeno (Calabona-Alghero, Siliqua); • mineralizzazioni ad ocra e manganese (Isola di S.Pietro, Sardegna Nord-Occidentale);
  • mineralizzazioni ad oro invisibile associate alle vulcaniti oligo-mioceniche, formatesi in seguito all’attivazione di circuiti idrotermali epitermali, (Furtei, Osilo, etc.);
  • mineralizzazioni bentonitiche, (Nurra, Sardegna centro Occidentale, Sulcis); potenti livelli di sabbie quarzose-feldspatiche molto pure di ambiente fluvio-deltizio, (Florinas);
  • mineralizzazioni caolinitiche (Mara, Romana).

Con i processi erosivi manifestatisi durante la fase continentale dal post-Miocene al Quaternario recente, si depositano modeste mineralizzazioni di tipo placers, fluviali o marini, derivate dallo smantellamento meccanico di rocce e di mineralizzazioni preesistenti riconcentrate in livelli preferenziali (mineralizzazioni a stagno della fascia pedemontana del Monte Linas, sabbie costiere ferrifere e titanifere, sedimenti della piattaforma continentale mineralizzati a stagno, etc.).
L’area del Parco Nazionale-Geoparco- è localizzata nella parte meridionale della Regione Campania, ai confini con la Basilicata e ricade interamente nella provincia di Salerno.
Rispetto al territorio circostante il Parco mostra una forte peculiarità, derivante dalla sua estrema ampiezza ed eterogeneità. Verosimilmente per analoghi motivi, anche le caratteristiche ecologiche del territorio sono fortemente diverse, con la presenza di ambienti praticamente inalterati che si alternano ad aree modificate per lo sviluppo di centri abitati ovvero di aree densamente popolate come quelle costiere o vallive più ampie. Il Parco Nazionale, area protetta istituita nel 1995 in riferimento alla Legge 394/91, che, con i suoi 191.048 comprese le aree marine protette, rappresenta la prima area protetta italiana per estensione e la prima come popolazione, con
la presenza di ambienti praticamente inalterati che si alternano ad aree modificate per lo sviluppo di centri abitati ovvero di aree densamente popolate come quelle costiere o vallive più ampie. Il Parco Nazionale, area protetta istituita nel 1995 in riferimento alla Legge 394/91, che, con i suoi 191.048 comprese le aree marine protette, rappresenta la prima area protetta italiana per estensione e la prima come popolazione, con circa 280.000 abitanti.Il territorio si estende tra la Piana del Sele a Nord, l’Autostrada A3 ad Est, il Golfo di Policastro a Sud e la fascia costiera tirrenica ad Ovest.
Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ricadono 28 Siti di Interesse Comunitario (SIC), istituiti ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (Direttiva Habitat) e 8 Zone di Protezione Speciale, istituite ai sensi della Direttiva 79/409/CEE (Direttiva Uccelli), tutti ricadenti nella Regione Biogeografica Mediterranea. La Rete Natura 2000 occupa una superficie di 118.316 ha, pari al 65% di quella dell’intero Parco e sarà gestita mediante i relativi Piani di Gestione, allo stato, in corso di completamento.
Il Cilento è un territorio molto articolato con paesaggi collinari a morfologia dolce e paesaggi montani con spianate sommitali e vallate molto aspre profondamente incise dai corsi d'acqua, cui corrispondono settori costieri a falesie e limitate pianure litoranee.
Questo forte contrasto è da attribuire sia alla duplice natura geologica delle rocce che costituiscono l’ossatura di questo territorio, che alla lunga storia evolutiva cui questo è stato soggetto.
Il Cilento può essere definita una “provincia Morfostrutturale” (Guida et al. 1980), che rappresenta una sub unità della Regione Tettonica Campano Lucana.
In generale nel territorio del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano affiora una delle porzioni geometricamente apicali del prisma orogenico sud-appenninico, costituito dalle unità interne (terreni bacinali che derivano dalla deformazione di domini paleogeografici deposti su crosta oceanica o continentale assottigliata: Unità nord-calabresi o Liguridi auct. e unità Sicilidi in Bonardi et alii, 1992a), di età per lo più terziaria, sovrapposte tettonicamente durante il Miocene, sui depositi mesozoico-terziari delle unità esterne riferite al paleomargine occidentale della microplacca apula (l’Unità tettonica Bulgheria; l’Unità tettonica dei Monti Alburno-Cervati-Pollino).
Depositi miocenici sinorogeni poggiano in contatto stratigrafico, ovviamente discordante, sopra i terreni già deformati sia delle unita interne (gruppo del Cilento e conglomerati di M. Sacro) sia di quelle esterne (brecce di Sapri e calciruditi ed arenarie di Piaggine) (Castellano et alii, 2000).
GEOPARCO ADAMELLO BRENTA
Cime innevate nate dal mare, cattedrali di roccia modellate dal tempo, ghiacciai che smussano le montagne, voragini sotterranee che suscitano il senso del mistero. La varietà delle forme inventate dalla natura è straordinaria, generata da una storia che si conta a secoli, millenni, milioni di anni. Immutabili e serene solo all’apparenza, queste meraviglie hanno avuto una genesi movimentata. Poi, per lunghi periodi, l’evoluzione è continuata lentamente: la goccia d’acqua scolpisce il granito, il vento modella strane sculture rocciose, il fiume rettifica insensibilmente il suo corso…l’apparenza di eternità permane fino al prossimo scompiglio. Di questo incredibile mosaico di meraviglie naturali il Parco Naturale Adamello Brenta è una tessera rappresentativa, in particolare per la compresenza di due mondi completamente diversi eppure così vicini: a est il gruppo delle Dolomiti di Brenta con le sue maestose cattedrali di roccia affiorate, milioni di anni fa, da un mare caldo e tropicale; a ovest l’imponente catena montuosa dell’Adamello – Presanella, incisa nella durissima tonalite, la roccia derivata dal raffreddamento del magma risalito attraverso la crosta terrestre e qui rimasto imprigionato.
Per tutelare e valorizzare le particolarità di questo patrimonio geologico, il Parco Naturale Adamello Brenta nel 2008 è entrato a far parte della Rete Europea e Mondiale dei Geoparchi sotto l’egida dell’Unesco, riconoscendo così l’importanza geologica del territorio dell’area protetta più vasta del Trentino e dei 38 Comuni ad essa afferenti. Esattamente un anno dopo, il 26 giugno 2009, vi è stato un altro importante riconoscimento: le Dolomiti di Brenta, assieme ad altri 8 gruppi dolomitici appartenenti a 5 provincie diverse, sono entrate a far parte della Lista del Patrimonio Unesco. Considerate fra “le montagne più belle del mondo”, le Dolomiti sono diventate Patrimonio dell’Umanità grazie alla loro bellezza e unicità paesaggistica e al valore universale degli aspetti geologici e geomorfologici. L’Adamello Brenta Geopark è caratterizzato da una grande varietà di rocce e ambienti: vi è un’elevata geodiversità che rende il Geoparco un laboratorio a cielo aperto dove poter conoscere i segreti della Storia della Terra. Sparsi sul territorio vi sono 61 Geositi, luoghi speciali che testimoniano in modo particolarmente significativo l'evoluzione della crosta terrestre o l'influenza che questa ha avuto sullo sviluppo della vita e dell'uomo. Vi sono numerosi percorsi interpretati che permettono di andare alla scoperta delle ricchezze geologiche del Geoparco e delle cinque categorie in cui sono suddivisi i 61 Geositi: ghiacciai, morfologie glaciali e periglaciali, morfologie carsiche, siti a valenza geologica, siti a valenza demo-etno-antropologica.
La geologia del Parco Naturale Adamello Brenta è affascinante e complessa. Le diverse rocce che qui affiorano testimoniano una storia lunga oltre 350 Milioni di anni durante la quale si sono susseguiti ambienti molto diversi fra loro. In questo amplissimo intervallo di tempo, suddiviso in diversi periodi, di seguito descritti dal passato più lontano ad oggi, passeremo da vulcani a deserti, per arrivare in fondo a mari tropicali e cristallini fino alle cime ghiacciate più elevate.
Paleozoico     (più di 300 Ma)
Permiano         (300 – 251 Ma)
Triassico          (251 – 200 Ma)
Giurassico        (200 – 145 Ma)
Cretaceo          (145 – 65 Ma)
Paleogene       (65 – 23 Ma)
Neogene          (23 – 2,5 Ma)
Quaternario     (2,5 Ma – oggi)
Paleozoico (più di 300 Ma)
Risalgono a questo periodo gli Scisti di Rendena, rocce metamorfiche (filladi, micascisti, gneiss) appartenenti al cosiddetto Basamento Cristallino, l’unità più antica che si trova alla base di tutta la catena delle Alpi Meridionali dalla Slovenia al Piemonte. Originarie rocce sedimentarie (peliti, areniti, argilliti, calcari), sono state sottoposte ad alte pressioni e temperature durante la fase Varisica della grande Orogenesi Ercinica (la formazione di antiche montagne), al termine della quale tutti i continenti si trovarono riuniti nel supercontinente Pangea. Nell’area del Geoparco il Basamento affiora lungo la Val Rendena tra il gruppo dell’Adamello a ovest e la Linea delle Giudicarie, una grande faglia che percorre i fondovalle dal Lago d’Idro a Merano.
Permiano (300 – 251 Ma)
Testimonianze di questo periodo si trovano lungo il versante sinistro della Val Rendena dove affiorano rocce magmatiche effusive comunemente dette “Porfidi” (Lave di Bocenago, Ignimbriti di Malga Plan) e sedimentarie terrigene (Arenarie di Val Gardena/Verrucano Lombardo). Le unità magmatiche indicano la presenza di centri eruttivi (come vulcani) i cui prodotti si accumulavano all’interno di una zona depressa (Bacino di Tione). Le sedimentarie terrigene sono invece il prodotto dell’erosione e del trasporto fluviale operato dagli agenti atmosferici sui Porfidi e sul Basamento Cristallino, le uniche litologie affioranti all’epoca.
Triassico (251 – 200 Ma)
Il Triassico è il periodo più importante nella storia geologica del Trentino occidentale. Il limite tra Permiano e Triassico è marcato da una grande estinzione di massa che porta alla scomparsa del 95% delle specie viventi. In questo periodo i continenti si uniscono a formare il supercontinente Pangea. In questo contesto la zona del Geoparco si trova lungo la costa orientale del grande oceano Tetide, a latitudini intertropicali.
Il Pangea è da subito instabile, i continenti tornano a dividersi. L’apertura dell’oceano Neotetide provoca, nelle attuali Alpi Meridionali, la formazione di zone elevate e depresse (piattaforme e bacini). La zona del Geoparco si trova in questo periodo al passaggio tra la Piattaforma di Trento (a Est) e il Bacino Lombardo (a Ovest). Questa diversità strutturale e morfologica porta alla nascita delle prime piattaforme carbonatiche, strati di sedimenti derivanti da organismi con scheletro calcareo (coralli ad esempio), contemporanee agli atolli delle Dolomiti orientali, che nascevano nelle zone di minore profondità della Neotetide (Dolomia del Serla, Formazione di Contrin, Dolomia dello Sciliar, Calcare di Esino).  Intanto nei bacini e nelle lagune si depositano formazioni calcaree e dolomitiche (Calcare d’Angolo), alcune con intercalazioni vulcaniche (Calcare di Prezzo, Formazione di Buchenstein).
Nel Triassico Superiore (più recente) i bacini vengono colmati e si crea, nelle Alpi Meridionali, un comune ambiente di piana di marea dove si deposita la Dolomia Principale, l’unità più rappresentativa delle Dolomiti di Brenta ma che costituisce la parte sommitale di molti altri gruppi montuosi dolomitici orientali (Tre Cime di Lavaredo, Antelao, Civetta, Tofane). Al di sopra della Dolomia Principale si trovano le formazioni del Calcare di Zorzino e del Calcare di Zu, testimonianza della deposizione di altri sedimenti durante un graduale sprofondamento del fondale nel settore del Trentino Occidentale.
Giurassico (200 – 145 Ma)
Durante il Giurassico nasce dalla separazione delle terre l’oceano Ligure – Piemontese, a separarsi e differenziarsi sono la Piattaforma Atesina e il Bacino Lombardo. Le Alpi Meridionali diventano parte del margine settentrionale della microplacca Adria, appartenente al continente africano. Nel settore del Trentino occidentale si formano nuove piattaforme carbonatiche (Formazione della Corna), contemporaneamente, sulla piattaforma di Atesina si deposita il Gruppo dei Calcari Grigi (Formazione di Monte Zugna, Calcare Oolitico di Loppio, Formazione di Rotzo, Calcare Oolitico di Massone) costituito da calcari che testimoniano un ambiente la cui profondità aumenta gradualmente dalla piana di marea al mare aperto.
Contemporaneamente al Gruppo dei Calcari Grigi si deposita, nel Bacino Lombardo, la Formazione del Tofino. Attualmente essa affiora tra la Linea delle Giudicarie a Ovest e la Linea della Vedretta dei Camosci a Est. E’ costituita da calcari ricchi in selce. A partire dal Giurassico Medio le differenze tra piattaforma e bacino vengono appianate, si assiste a uno sprofondamento generalizzato delle Alpi Meridionali con la deposizione del Rosso Ammonitico Veronese e del Selcifero Lombardo.
Cretaceo (145 – 65 Ma)
Durante il Cretaceo l’ambiente in cui si trova il Trentino occidentale è sempre di mare molto profondo (pelagico). In questo contesto si depositano le formazioni della Maiolica e della Scaglia Rossa. Entrambe sono costituite da calcari ricchi in selce. Nello stesso periodo inizia la migrazione dell’Africa verso l’Europa a causa dell’apertura dell’Oceano Atlantico meridionale. Si chiude gradualmente l’oceano della Tetide. Ha inizio la formazione delle Alpi(orogenesi alpina). I fondali diventano instabili, si generano nei  depositi della Scaglia Rossa frane sottomarine dovute a eventi sismici (ancora oggi riconoscibili al Sasso Rosso, Dolomiti di Brenta settentrionali).
Nel Cretaceo più recente le Alpi settentrionali (Austroalpino) cominciano ad emergere dal mare e a subire l’erosione da parte degli agenti atmosferici, scaricando all’interno dei bacini sottomarini i sedimenti derivanti dall’erosione di queste rocce (Flysch). Nella zona del Parco è presente la Formazione di Valagola costituita da questo tipo di depositi, formatisi più tardi, tra Cretaceo e Paleogene, mentre le rocce simili del Bregn de l’Ors e delle Coste di Grual si sono formate nel Cretaceo superiore.
Il passaggio dal Cretaceo al Paleogene è marcato da un’estinzione di massa che porta alla fine del dominio dei rettili sulla Terra.
Paleogene (65 – 23 Ma)
Durante il Paleogene, tra 42 e 30 milioni di anni fa, risalgono dalle profondità della terra e si raffreddano sotto la superfice, a circa 10 km di profondità nella Crosta terrestre, i quattro corpi magmatici che costituiscono il Batolite dell’Adamello. L’origine di questo magma è da attribuire, secondo alcuni autori, alla fusione della crosta europea che stava scivolando al di sotto della crosta Adriatica (Africana) durante l’orogenesi alpina. I quattro corpi magamtici (plutoni) hanno età decrescente da sud verso nord, il più antico è il plutone del Re di Castello (affiorante in Val di Fumo, Val di Breguzzo e di Borzago), mentre il più recente è quello della Presanella. Le rocce oggi affioranti sono chaimate tonaliti e granodioriti.
Neogene (23 – 2,5 Ma)
Nel territorio del Parco si trovano evidenze di questo periodo nella zona delle Dolomiti di Brenta, dove sono presenti alcunebrecce (Breccia dello Spinale), si tratta di depositi  accumulatisi alla base di versanti, poi smantellati e modellati durante le successive fasi glaciali Quaternarie.
Quaternario (2,5 Ma – Oggi)
E’ il periodo in cui viviamo, quello che ha visto lo sviluppo dell’homo sapiens e la sua graduale colonizzazione del pianeta. Appartengono al Quaternario i depositi di sedimenti più superficiali, composti di materiali originati dal’erosione operata dai grandi ghiacciai che percorrevano le valli del Parco durante l’Ultimo Massimo Glaciale (Wurm), durante le fasi glaciali precedenti  o durante l’ultima, piccola glaciazione (Piccola Età Glaciale) avvenuta tra il 1500 e il 1800 d.C. L’azione recente ed attuale della gravità ha generato in questo periodo depositi  difrane post – glaciali, falde  di detriti alla base dei versanti e colate di detriti.Anche l’azione dei fiumi ha lasciato e continua a lasciare traccia,ne sono esempio i coni di detriti abbandonati allo sbocco della valli (conoidi)i  terrazzi fluviali, segno del fluttuare della profondità dell’alveo, e  le piane alluvionali, generate dalle esondazioni ripetute dei fiumi.
GEOPARCO DELLE ALPI APUANE
Il territorio del Geoparco delle Alpi Apuane si trova all’interno della omonima subregione montuosa, nel settore nordoccidentale della Toscana, dove avviene il passaggio tra la zona biogeografica medioeuropea e quella mediterranea. In questo territorio di transizione si eleva la catena montuosa delle Apuane che, allungata da nord ovest a sud est, si distacca dall’Appennino verso occidente, stabilendo un forte isolamento geografico.
Il territorio individuato come Geoparco si estende entro i limiti amministrativi di 19 comuni ed è interamente incluso nelle province di Lucca e Massa Carrara, appartenenti alla Regione Toscana. La superficie proposta per il Geoparco equivale oggi a 493,87 km2 , di cui 205,98 km2 di area parco e 271,07 km2 di area contigua tradizionale e 16,82 km2 di area contigua a destinazione estrattiva (“zona contigua di cava”).
Le Alpi Apuane sono un complesso orografico di grande suggestione scenica, per l’imponenza della catena principale e l’enorme energia del rilievo, che si accompagna a una morfologia assai aspra e spoglia di creste, torrioni e pareti carbonatiche, con valli altrimenti profonde e straordinariamente ricche di acqua.
Il paesaggio fisico della dorsale centrale, così duro e tagliente, contrasta nettamente con i crinali dolci ed ondulati del vicino Appennino settentrionale. Le Alpi Apuane devono buona parte della loro notorietà alla bellezza dei propri marmi e ai profondi abissi e alle grandi cavità del sottosuolo carsico.
Le cime delle Apuane si sono meritate l’appellativo di Alpi per l’ardito aspetto che le distingue dall’Appennino settentrionale, dal quale differiscono anche per la litologia prevalentemente carbonatica della catena montuosa principale. Lo spartiacque morfologico divide il versante marittimo, intensamente inciso dai corsi d’acqua e con pendii impervi che scendono ripidi sui fondovalle profondi, da quello interno che degrada assai più dolcemente.
La comunità scientifica è oggi pressoché concorde nell’interpretare le Alpi Apuane e l’Appennino settentrionale come il risultato complesso di due distinti e successivi processi deformativi: il primo collisionale-compressivo e il secondo distensivo-estensionale. Alpi Apuane e Appennino settentrionale appartengono dunque alla medesima catena montuosa a thrust e pieghe, originatasi durante il Cenozoico per l’accavallamento del dominio interno Ligure di origine oceanica (Tetide alpina), sui domini esterni di margine continentale, Toscano ed Umbro-Marchigiano. La complessa evoluzione tettonica dell’area ha messo in luce una prima fase di deformazione e metamorfismo, che ha trovato espressione all’interno di un contesto geodinamico collisionale. È poi seguita una seconda fase in regime tettonico distensivo, caratterizzata dallo sviluppo di zone di taglio a basso angolo e faglie normali, responsabili del sollevamento e dell’esumazione delle Unità strutturali più profonde.
Proprio in corrispondenza delle Alpi Apuane si è sviluppata una grande finestra tettonica, che ha esposto il ‘Complesso metamorfico delle Alpi Apuane’. Quest’ultimo costituisce il livello strutturale più profondo affiorante nelle porzioni interne dell’Appennino settentrionale e quindi rappresenta un’area chiave per la comprensione dei meccanismi e dei processi geodinamici che hanno portata alla formazione della dorsale peninsulare italiana.
In particolare, all’interno della finestra tettonica apuana è possibile distinguere due unità sovrapposte, che appartengono entrambe alla Successione metamorfica del Dominio toscano: l’Autoctono Auct. e l’Unità di Massa.
L’Unità di Massa, rinvenibile solo nella porzione più occidentale della finestra tettonica, comprende un basamento paleozoico sul quale poggia, in discordanza, una spessa sequenza sedimentaria triassica, caratterizzata da metavulcaniti basiche del Ladinico. La copertura mesozoica ha inizio con metaconglomerati quarzosi, associati a metarenarie, metasiltiti e filladi nere, interpretabili come depositi silicoclastici continentali e/o costieri. Verso l’alto seguono livelli di rocce prevalentemente calcaree (marmi, metabrecce, calcescisti e filladi carbonatiche), che derivano da depositi prima di piattaforma carbonatici ristretta e poi di ambiente neritico-pelagico, con intercalazioni di metabasiti alcaline. La successione si chiude nel Carnico con filladi di origine continentale-litorale e livelli di anageniti: metaconglomerati a prevalenti clasti di quarzo e quarziti.
Anche la successione dell’Autoctono Auct. è costituita da un basamento paleozoico, residuo di precedenti strutture orogenetiche, con un’età iniziale riferibile probabilmente al Cambriano. Una successione metasedimentaria, formatasi dal Trias sup. all’Oligocene, ricopre il basamento cristallino in discordanza, come già visto per l’Unità di Massa. La copertura meso-cenozoica ha inizio con un “Verrucano” classico, rappresentato da metaconglomerati poligenici, metarenarie calcaree e dolomie silicoclastiche con intercalazioni di metabrecce riferibili ad un ambiente deposizionale di tipo transizionale, da continentale a marino costiero. Seguono le dolomie “grezzoni” della piattaforma carbonatica tardo-triassica che, verso l’alto, lasciano il passo ai metacalcari micritici fossiliferi dei Calcari e marne di Colonnata. È poi la volta di marmi localmente muscovitici della formazione dei Marmi a Megalodonti, intercalati a metabrecce poligeniche e scisti a cloritoide, che testimoniano episodi di emersione della piattaforma carbonatica con formazione di livelli lateritico-bauxitici e deposizione di debris flow ai piedi di scarpate tettonicamente attive.

PARCO NAZIONALE DELLE COLLINE METALLIFERE GROSSETANE
Nell’Ottobre del 2010 il Tuscan Mining Geopark è stato riconosciuto come “Geoparco” internazionale nell’ambito della Rete Europea dei Geoparchi e della Rete Globale dei Geoparchi dell’UNESCO.
Il Geoparco, costituito dai territori dei Comuni di Follonica, Scarlino, Gavorrano, Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, Montieri e Roccastrada, per un’estensione complessiva di 1.086 kmq, contiene al suo interno l’area meglio conosciuta con il nome di “Colline Metallifere” oggetto in passato di molteplici attività connesse all’estrazione di preziosi minerali quali il rame, l’allume, la pirite, i solfuri misti, la lignite. Il patrimonio geologico risulta pertanto particolarmente significativo in relazione alla presenza di numerosi giacimenti minerari il cui sfruttamento ha profondamente connotato il paesaggio, determinando lo sviluppo economico e sociale del territorio e delle comunità dall’epoca protostorica sino ai nostri giorni. Oltre a quanto sopra indicato nel Tuscan Mining Geopark sono presenti siti di interesse geologico (geositi) che consentono di apprezzare diverse tipologie di rocce, forme e processi di notevole valore
scientifico ma che rivestono anche un particolare interesse paesaggistico, didattico, divulgativo utili anche a comprendere l’evoluzione della catena appenninica. L’attuale assetto territoriale è caratterizzato da una morfologia prevalentemente collinare, con alcuni rilievi che superano i 1000 metri di quota s.l.m., frutto dell’evoluzione geologica che ha formato la catena dei rilievi appenninici in questa parte dell’Italia. Il susseguirsi di eventi compressivi alternati a brevi periodi distensivi, entrambi connessi allo scontro tra placche tettoniche convergenti, hanno comportato nel Miocene l’emersione delle terre dal mare, ma anche favorito la sedimentazione marina e lacustre in quelle che per alcuni periodi sono state aree morfologicamente depresse. L’emersione ha permesso la messa giorno di formazioni geologiche molto antiche del paleozoico come ad esempio il geosito della formazione del Torrente Farma (originatasi circa 250 milioni di anni fa) affiorante in successione rovesciata di strati torbiditici caratterizzati da bellissimi slumps e groove cast, oppure ricche in macrofossili (190 milioni di età) come nel caso del calcare rosso ammonitico individuabile presso le cave dimesse delle Cornate di Gerfalco. Invece la sedimentazione dei bacini lacustri ha dato origine ad estesi giacimenti di carbone che in passato e per lungo tempo sono stati luogo di attività di estrazione della lignite. I giacimenti si collocano in aree di formazione relativamente recente (tardo terziario), e si localizzano essenzialmente nelle località di Montebamboli e Ribolla.
I processi geologici hanno inoltre consentito la risalita del magma sino a profondità prossime alla superficie terrestre generando importanti sistemi geotermici, una diffusa circolazione di fluidi idrotermali e quindi la formazione delle importanti mineralizzazioni a solfuri (giacimenti massivi a pirite e solfuri misti o giacimenti filoniani a quarzo e solfuri misti). In prossimità dell’abitato di Monterotondo Marittimo e facente parte della parte meridionale del sistema geotermico di TravaleLardarello, è possibile visitare l’area delle “Biancane” caratterizzata da fenomeni di vulcanesimo secondario, come solfatare, fumarole, lagoni, ecc., e da una particolare vegetazione che cresce in prossimità delle manifestazioni geotermiche. Interessante e suggestivo è il percorso delle miniere che, attraversando tutto il territorio del parco, mostra gli esempi migliori sia in termini di affioramenti (con prevalenza di Pirite) e sia in termini di visibilità delle aree minerarie, nell’area di Gavorrano-Ravi e di Boccheggiano. In quest’ultima località si può osservare uno spettacolo insolito caratterizzato da calanchi rossi detti anche "le roste"; si tratta dei resti delle lavorazioni del rame della fine del XIX e inizi del XX secolo, che hanno subito l’azione modellante degli agenti atmosferici e generato un paesaggio in forte contrasto con il verde della vegetazione circostante. Il geoparco riserva ulteriori sorprese e ancora molti sono i geositi da visitare, tra questi menzioniamo “i Canaloni” derivati dalle profonde incisioni che il Torrente Farma ha realizzato in rocce di età Permiano superiore – Triassico inferiore.
GEOPARCO SESIA-VALGRANDE
Il 5 settembre 2013 tra le vestigia del santuario di Asclepio dell'antica città di Velia, nel Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni,  alla presenza degli oltre 450 delegati in rappresentanza di 41 paesi convenuti alla 12° European Geopark Conference, si è svolta la cerimonia di proclamazione dei nuovi geoparchi della rete europea e mondiale. Con le nuove nomine è entrato a far parte della prestigiosa lista patrocinata dall'UNESCO anche il Sesia-Val Grande Geopark.
La candidatura unitaria di un territorio esteso dalla Val Grande alla Valsesia e alla Valsessera, passante per la Val Strona e comprendente la valle Cannobina e la media Ossola, è il risultato di uno sforzo congiunto del Parco Nazionale e dell'Associazione "Supervulcano Valsesia ONLUS" che, sulla base di una specifica indicazione del comitato scientifico dell'EGN, hanno uniformato le loro proposte originarie in un ambito omogeneo di candidatura di un territorio che presenta caratteristiche geologiche, geostrutturali, geomorfologiche, geominerarie e paesaggistiche eccezionali, riconosciute a livello internazionale e, da sempre, oggetto di studio e ricerca da parte di università e studiosi di tutto il mondo.
Il territorio del Sesia Valgrande Geopark contiene una straordinaria varietà di rocce e forme del paesaggio che derivano da diversi processi geologici: tutta l'area mostra ancora oggi gli effetti delle numerose vicende che l'hanno trasformata in centinaia di milioni di anni.
L'importanza della geologia del Sesia Valgrande Geopark è legata alla possibilità di riconoscervi diversi processi orogenetici: quelli che hanno formato dapprima antiche catene montuose ormai scomparse, e poi, quelli responsabili della genesi delle Alpi, prodotto dello scontro fra il continente africano e quello europeo. Si tratta di fenomeni che hanno portato alla luce rocce molto profonde della crosta terrestre e del mantello, ora visibili in una delle più spettacolari sezioni geologiche al mondo. In sequenza, vi si osservano diversi tipi di rocce, da quelle più profonde (rocce plutoniche e metamorfiche) a quelle più superficiali (rocce vulcaniche e sedimentarie). Pur coinvolte nella collisione fra i continenti, queste rocce hanno mantenuto caratteristiche distintive, riconducibili a precedenti vicende geologiche. Pertanto, esse costituiscono un modello di riferimento per l’interpretazione dei dati scientifici sulla crosta continentale.
A rendere ancora più straordinaria la sezione geologica del Geoparco è l'esistenza, nella sua parte meridionale, del cosiddetto “Supervulcano del Sesia”. Vi si riconoscono le rocce appartenenti al suo profondo sistema di alimentazione e alla sua caldera, formatasi con un'eruzione esplosiva.
A nord ovest del Supervulcano, lo scontro fra i continenti ha invece profondamente trasformato le rocce, generando una struttura geologica molto complessa. Le enormi forze in gioco hanno fratturato la crosta terrestre, impilandone i frammenti gli uni sugli altri come in un gioco di carte e piegando le rocce, rese duttili da temperature e pressioni elevatissime. L'insieme di questi processi ha trasformato gli stessi minerali che costituiscono le rocce, formandone di nuove: le rocce metamorfiche.
“Confine” fra i due continenti, l'uno conservato in modo eccezionale e l'altro trasformato profondamente, è la Linea Insubrica: si tratta di un insieme di spaccature allineate (faglie), lungo le quali si sono concentrati i movimenti tettonici della crosta terrestre durante le ultime fasi dell'orogenesi alpina.
Ma le montagne del geoparco non conservano solo testimonianze dei fenomeni interni del nostro pianeta: vi si trovano pure splendide forme di modellamento della superficie da parte dei ghiacciai, con le loro espansioni e i loro ritiri, e da parte dei fiumi: processi ancora attivi di cui è possibile osservare sia l'azione che gli effetti.
Insomma, nelle diverse rocce e forme del paesaggio del Geoparco possiamo leggere numerose vicende di una lunghissima storia geologica: una “geodiversità” che ci racconta di antichi oceani, continenti in movimento, vulcani e glaciazioni. Si tratta di un vero e proprio patrimonio geologico: non solo testimonianze delle dinamiche del nostro pianeta, ma anche fenomeni che hanno profondamente influito sullo sviluppo della cultura locale.
(Le informazioni, le foto  e le carte tematiche sono tratte dai siti web dei geoparchi).
Dott. Geol. Domenico MARINO - P.iva 01571350766
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